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QUANDO LE PIETRE PARLANO

QUANDO LE PIETRE PARLANO

Come tutti sanno la regione Piemonte, come le vicine Liguria e Valle d’Aosta, sono caratterizzate da una varietà infinita di rocce, con relativi minerali e, a volte, fossili o altre testimonianze dell’evoluzione del territorio. Ecco, …. quanto sto per proporVi riguarda proprio questa particolare opportunità che ci offre un’area così vasta e, a saperla “leggere” interessante.

E’ noto, per esempio, che a valle del Po appena dopo l’abitato di Torino, in presenza di ammassi consistenti di ciottoli di fiume, è abbastanza agevole procedere ad un riconoscimento dell’origine di ogni singola pietra (evidentemente in un’area debitamente circoscritta). Ci troveremo, così, tra le mani, bianche calciti levigate (talvolta con tagli netti e affioramento di piccoli cristalli trasparenti o traslucidi) oppure ofioliti verdastre o rossastre (pietruzze di varie dimensioni, perfettamente lisce, con macchiette più o meno grandi e pigmentazioni dal verde al rosso scuro) o, in taluni casi, pezzetti di granito o porfido, riconoscibili per la tessitura puntinata a prevalenza bianca e nera, i primi, e con il classico color rosso scuro, i secondi. Bene. Ognuna di queste pietre è stata “staccata” da una roccia più grande ( le motivazioni sono diverse: degradazione causata dall’atmosfera, esposizione continua a freddo e caldo, attività incessante delle acque, del vento, addirittura anche dal fuoco. Giusto per avere un’idea, un blocchetto di granito può aver raggiunto una spiaggetta di Crescentino dopo un viaggio di duecento e più chilometri, partendo dalle scoscese vallate dei torrenti vicini al confine francese. Discorso simile per la “calcite” che arriva al Po per lungo rotolamento, anche in questo caso – a volte – per centinaia di chilometri, per poi andarsi a piazzare in bella mostra fra centinaia di migliaia di altri sassetti.

A saperli far parlare, quindi, ci raccontano grandi cose anche i sassi, ci dicono che dove c’è porfido c’è stato un fenomeno di vulcanesimo con rimescolamento di decine di elementi base, dove ci sono ofioliti (per esempio i “serpentini”) siamo invece in presenza di fondi marini pressati, squassati, riscaldati, piegati e poi di nuovo riamalgamati che, in certi casi, arrivano fino a duecento milioni e più anni di “vita”.

Ancor più semplice, per ovvi motivi, “far parlare” i fossili, elementi organici in tracce, modelli esterni o interni, scheletro più o meno trasformato o in cento altre modalità che sono relativamente abbondanti nelle regioni di montagna e collina (a volte anche di pianura) delle nostre regioni.

Lampante il caso di Pecetto nei pressi di Valenza Po in provincia di Alessandria. Lì tra nove e otto milioni di anni fa c’era il mare (il prolungamento dell’attuale Adriatico) a tratti anche molto profondo, anche fino a ottocento metri. Non si erano ancora rialzate le colline che – oggi - tagliano in due la pianura piemontese tra nord e sud (da Torino fino a Bassignana (AL)) e la vita, assolutamente marina, scorreva tranquilla e secondo equilibri suoi propri.

Esattamente da quello che è stato trovato in diversi siti (definiti nell’insieme “Geosito delle Diatomiti di cascina Guarnera”) è possibile ricostruire caratteristiche, modalità di vita, interazioni fra animali e piante, habitat, abitudini, momenti più o meno felici e tutto questo grazie a tracce presenti all’interno di strati sfogliabili come un semifreddo “Millefoglie” . Si può vedere (e, volendo, ricostruire, tramite disegni, ricostruzioni più o meno computerizzate) un granchio abbastanza grande che si nutre di una carcassa di merluzzo, un pesce ago o un cavalluccio marino che si nascondono in una foresta di posidonie, e poi – girando lo sguardo (anzi, immaginando di girare lo sguardo) – squali piccoli e grandi che si muovono curiosi, banchi di sarde e sardine in formazione compatta, tre o quattro seppie di grosse dimensioni e poi, famelici come sempre, lunghi pesci sciabola (anche di due metri) che riflettono la poca luce solare delle profondità e che si organizzano per spingere le loro prede in bocca ai loro simili. “Mors tua vita mea”, esattamente quella logica di vita determinata dagli “equilibri naturali” citati poco sopra.

Far rivivere questi singoli momenti, descrivere l’incisione di una costola di balena sapendola collegare all’attacco di squali affamati non è cosa semplice ma è, di fatto, ciò che ci permette un museo-mostra come quello della ex Cantina Sociale di Pecetto, ora riorganizzata a servizio culturale.

Ora, passato il momento dell’avvio e dell’euforia delle inaugurazioni (alla presenza delle massime autorità scientifiche, oltre che amministrative, come risulta dalle due schede allegate) ci si deve porre l’obiettivo di tenerlo vivo, con targets qualificati. Di sicuro con alunne e alunni di ogni ordine e grado, combinando la parte di visita alla mostra con una salutare passeggiata alla vicina “Rocca” con alcuni affioramenti (sterili) di diatomiti. Certamente con gruppi (di qualsiasi età) modulando il grado di impatto scientifico / divulgativo a seconda delle necessità. Il tutto in perfetta simbiosi con realtà simili, tese alla migliore conoscenza sincronica (e diacronica) del territorio . Per esempio l’area del c.d. “santuario dei cetacei” dell’astigiano (con meravigliosa possibilità di osservazione diretta presso il palazzo del Michelerio di Asti) oppure il “geosito dell’appennino acquese/ovadese” con proposte didattiche sempre interessanti e ricchissima mostra presso il Museo “Maini” di Ovada (AL). Anche in questi luoghi potremmo ipotizzare con facilità “situazioni” ed “eventi” avvenuti decine di milioni di anni fa ma, per il momento, ci fermiamo qui. Ovviamente, per chi volesse “viaggiare nel tempo” con noi… non ha che da contattarci….

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